Il volo del grifone - prefazione Prof. Domenico Minuto

 Ringraziamo il prof. Domenico Minuto che ci ha permesso di pubblicare questa sua postfazione al libro “Il volo del grifone” di Fortunato Nocera, storia del XVIII secolo riguardante un eccidio avvenuto nel 1806 a San Luca(RC)  da parte dei soldati francesi, triste compimento di una prepotenza di potenti contro umili.

Lo scopo di questa fatica letteraria, dichiarato dall’autore all’inizio e alla fine, è la costatazione della devastazione di un’umilissima, ma umanamente assai vivace popolazione calabrese ad opera della invincibile e violenta aberrazione dei grandi della società e della storia. La dedica è offerta “ai martiri dell’eccidio perpetrato a San Luca dai soldati francesi il 16 dicembre 1806”; la postfazione ritorna su questa tragica vicenda, letta come la dolente conclusione di un disfacimento sociale procurato a danno degli umili da parte delle classi dominanti, reso ancora più deprecabile per le conseguenze nefaste sul costume del popolo, quando troppi sono quasi costretti ad imbestiarsi ed a concepire la disonestà come regola di vita. “Una forma di semi-feudalesimo persistette ancora per alcuni decenni del secolo scorso”, conclude la postfazione dell’Autore, ma il lettore comprende che si tratta di un eufemismo: il disastro sociale ancora imperversa nel secolo XXI.

Da quel che ho detto, si evince che il romanzo è animato da una severa e dolente indagine storica. È vero, ma non basta. Questo romanzo storico, a mio parere è, nel suo aspetto più profondo, un racconto di contemplazione e di rimpianto.

Una spia della ricchezza interiore dell’autore appare, già nelle prime pagine, da due particolari che potrebbero sfuggire, tanto sembrano insignificanti: un personaggio, alla vista del sole che sorge dal mare, si commuove ed altrettanto fa un altro personaggio di fronte ad una aiuola fiorita. Questi spettacoli della natura normalmente sono ammirati dalle non molte persone sensibili che li notano. Se la sensibilità è più elevata, diventano spettacoli goduti. Più a fondo, diventano contemplati. Ma la commozione comporta un moto di gratitudine verso il creato ed il Creatore, che trasforma la visione in dialogo ed in dolce pianto del cuore. Con questa dote di introspezione, Fortunato Nocera rivede la storia passata. Infatti, proprio questo le dona un fascino di ammirazione e di pianto: il fatto che sia proprio passata, non c’è più. Restano i ruderi ed abbondano quelli dei palazzi, dei castelli e delle torri di guardia di età moderna. Quasi tutti sono inabitabili, smozzicati, pericolanti, insignificanti, coperti di immondizie o semplicemente cancellati per donare spazio al regno del cemento. Ma non sono silenziosi.

Ad una persona così sensibile e profondamente innamorata della sua gente, com’è Fortunato Nocera, i ruderi parlano, le colline raccontano: una storia affascinante, di fatica e di pazienza, di semplicità e di fecondità spirituale, assieme, però, al grande dolore per tanta stupida e rovinosa prepotenza. Questa, secondo me, è la storia viva narrata da Fortunato Nocera, anche se nel romanzo il protagonista è un avventuriero rampante, che dalla plebe sale, a colpi di nefandezze, fino agli onori del titolo comitale.

Il periodo storico scelto dall’Autore e suggerito dai ruderi è assai eloquente: è quello che ha visto il tramonto della classe nobiliare, oppressa dai debiti procurati dalla sua inettitudine e corrosa nel potere civile ed economico da quegli intriganti arrampicatori che poi, nel XIX secolo, divennero gli “gnuri”, per i quali il popolo passò dalla povertà (con totale sottomissione per consuetudine mista a devozione) alla miseria (con totale sottomissione per terrore misto a ignobile interesse). Ancora nel secolo XVIII i nobili erano attenti alla cultura ed all’arte, anche nella Calabria di cui si parla nel romanzo, e non tutti i loro costumi erano corrotti: c’era anche l’apprezzamento della bellezza e dei sentimenti sinceri, una lezione pienamente assorbita dal popolo. Leggendo questo romanzo, continuamente ricordavo l’opera ponderosa di due calabresi sullo stesso argomento, trattato dal punto di vista di studio dell’architettura, della scultura e della pittura: Mario Panarello e Alfredo Fulco, Dalla natura all’artificio. Villa Caristo dai Lamberti ai Clemente. Strategie insediative tra economia e potere nel Regio Demanio di Stilo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015. Anche per loro, come per Fortunato Nocera, la nostra terra parla sommessamente a gran voce.

 


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